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Farsi scout nell’età adulta

Lo sfondo di questa riflessione è la questione del “metodo” dello scoutismo adulto, in tema affascinante e ancora aperto a nuovi contributi da aggiungere alle molte preziose pubblicazioni, di persone stimate e autorevoli. Percorso da continuare ad esplorare e costruire….

“Farsi scout” nell’ età adulta,

educazione permanente nella prospettiva cristiana della finitezza.

Nei riguardi dello scoutismo adulto, e non soltanto in chi lo guada dall’esterno, aleggia un fraintendimento di fondo che può forse spiegare molti degli atteggiamenti critici o negativi di tanti “adulti” attivi nello scoutismo giovanile.

Riconduco le ragioni di tale fraintendimento ai seguenti elementi:

a – l’idea, diffusa e per molti definitiva, che ogni processo educativo debba prevedere una chiara distinzione tra il ruolo dell’educatore e quello dell’educando, che nello scoutismo adulto non può essere replicata;

b – la mancanza di un obiettivo identificabile del processo educativo dello scoutismo adulto (come la “partenza” nello scoutismo giovanile);

c – la sostanziale “orizzontalità” della composizione del movimento

Il primo punto è cruciale. Per ogni attività che si ponga finalità educative sono, in generale, chiaramente individuati e riconosciuti i diversi ruoli dell’educatore e dell’educando (genitore-figlio, insegnante-alunno, capo scout-ragazzo, ecc.) e non v’è dubbio che la funzione educante compete, necessariamente e sempre, all’adulto. Non è casuale che per descrivere le attività rivolte agli adulti per l’accesso alle nuove competenze richieste dal modificarsi delle conoscenze, delle tecnologie e degli strumenti di produzione si usi e si accetti non il termine educazione bensì “formazione”: questo termine comunica l’idea di uno spazio d’azione limitato a un settore, e quindi a un obiettivo, precisamente individuati.

In coerenza con queste ipotesi capi scout, e con loro i “quadri” associativi dell’Agesci o i seniores del CNGEI, fedeli all’idea di B.-P, attribuiscono all’adulto nello scoutismo la funzione esclusiva dell’“educatore”, connotata nella precisa direzione del “dare ai giovani” e nella prospettiva del cosiddetto “sevizio” educativo. In questa angolatura si collocano anche la “formazione dei capi” e una struttura che prevede al proprio interno dei veri e propri “quadri”. Nello scoutismo adulto, invece, non esistono, né potrebbero essere dati, ruoli educativi “separati”. Ogni funzione nel MASCI è, quindi, funzionale esclusivamente alla vita del movimento o all’animazione delle comunità, nella logica di un servizio prestato per un tratto di strada. Chi ha scelto di far parte del MASCI sa di appartenere ad una realtà nella quale ciascuno è riconosciuto portatore di “valore”, e che tale valore è manifestazione dei doni di cui, gratuitamente, è stato fatto oggetto. L’obiettivo del MASCI, d’alta parte, è di concorrere a creare e a mantenere quelle condizioni che consentono ad ogni persona, nella propria originalità e singolarità, di realizzare appieno la propria umanità, non all’interno o in funzione del movimento, ma “altrove”, nella quotidianità, nella società e nel mondo. Ciò avviene chiamando ogni adulto scout ad essere protagonista attivo nel tracciare un proprio percorso di educazione permanente; la comunità e il movimento sono il luogo, l’occasione e lo stimolo Gli spazi della crescita spirituale e relazionale di ciascuno si realizzano nella ricerca; il riconoscimento del limite e della piccolezza trasforma ogni spinta alla “competizione” in impegno a lavorare sul proprio carattere. Per essere adulti scout occorre, quindi, accogliere una prospettiva diversa che, in parole semplici, si può tradurre così: occorre “farsi scout”, ma nella particolarità della condizione adulta, nella quale non ti è più dato un “capo” in carne e ossa da seguire o da imitare, ma una comunità di altre/i che, come te, stanno lavorando su se stessi.

Questo percorso non può avere un punto di approdo. E vengo al secondo punto. Ogni persona adulta ha già sperimentato la complessità del vivere e, per questo, sa di non potersi mai considerare del tutto adeguata. In un convegno MASCI organizzato nel 1989 si propose, per gli adulti scout, di superare l’dea della “promessa”, per considerare quella di una “professione”, come avviene negli ordini religiosi: ciò suggerisce a noi l’idea che per l’adulto, oltre a un futuro da progettare, c’è il “qui e ora” da riempire di scelte e di azioni, e che il sentiero scout, in quest’età della vita, si colloca nella prospettiva di quella ricerca permanente di senso, che accompagna tutta l’esistenza. Indicavo il terzo punto come la “sostanziale orizzontalità del movimento”. Questa caratteristica è legata al fatto che la “condizione adulta” rappresenta lo “stato” di ogni appartenente al MASCI. Ogni adulto scout è, quindi, “già” capace di relazioni e di assunzioni di responsabilità e di impegni, porta con sé una “storia”, idee, esperienze, scelte personali, familiari e politiche:nulla di tutto ciò può essere considerato “minore”. Si deve, perciò, presuppone che ciascuno sia disposto a condividere i propri “criteri” di lettura della vita e della storia senza pretendere che questi rappresentino un assoluto, con la disponibilità a ridiscuterli, ad arricchirli, a trasformarli. Ognuno saprà di essere discepolo di tutti e, senza merito, testimone dei dono di cui è portatore. In questo senso se qualche persona, in qualche momento, potrà risultare particolarmente preziosa per tutti, potrà anche assumere per un tratto di cammino la funzione di dare il passo, di guidare il gruppo, ma senza cessare di essere, egli stesso, discepolo. Lo sfondo di questa riflessione è la questione del “metodo” dello scoutismo adulto, in tema affascinante e ancora aperto a nuovi contributi da aggiungere alle molte preziose pubblicazioni, di persone stimate e autorevoli. Percorso da continuare ad esplorare e costruire, dunque, nell’ipotesi che lo scoutismo sia la ricerca di un tipo di persona, un’antropologia che assume, nella prospettiva cristiana, la finitezza.

Bruno Magatti Comunità di Como

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